“L’era del computer nello spazio è qui” (The era of spatial computing is here), questo l’ADVStatement con il quale Apple ha presentato il visore AR Vision Pro, disponibile a partire dal 2024.
E nell’era dello spatial computing siamo proiettati grazie al talento narrativo di Lorenzo Cappannari, autore di “Futuri possibili. Come il Metaverso e le nuove tecnologie cambieranno le nostre vite” e costruttore di mondi con la sua realtà imprenditoriale AnotheReality.
L’opera “Futuri possibili” è un viaggio nell’evoluzione della tecnologia, dal web 1 alla quarta dimensione della realtà aumentata (AR). E’ una scoperta di talenti visionari e pionieri, italiani e non solo, che hanno partecipato all’evoluzione del web e dell’esperienza digitale aumentata sia nella componentistica hardware che nel software.
La tecnologia del computer nello spazio è emotiva, spiega Cappannari, non ha interfaccia, nessuna mediazione, solo emozioni dirette come nella realtà, ma è arricchita di informazioni e contenuti interattivi. Può essere alienante per la potenza pervasiva, va conosciuta e regolamentata.
Nei futuri possibili quindi a fare la differenza è l’uomo, oggi.
Può fare la differenza accelerando la capacità dei governi di adattarsi ai cambiamenti dell’era digitale e di partecipare alla costruzione dei nuovi mondi.
La tecnologia è uno strumento in principio neutro, dipende da come lo usiamo, ma la capacità di questa nuova dimensione digitale di cambiare la percezione della realtà, necessita di un’alfabetizzazione elettiva a partire da ora, ad ogni costo.
Lo chiediamo al professor Cappannari, ringraziandolo per la fluidità narrativa con la quale, in modo illuminante e avvincente, testimonia l’evoluzione della realtà virtuale e aumentata e trasmette una visione che ispira ed emoziona.
Il titolo “Futuri possibili” fa pensare ad un libro game, siamo noi a poter/dover scegliere il finale, ad indirizzarlo. Come lei spiega bene siamo nel mezzo di un processo di gamification della nostra realtà onlife. Il gioco esce dallo schema tradizionale dell’intrattenimento per applicare logiche e dinamiche motivazionali agli ambiti più diversi, ma nei futuri possibili a fare la differenza è la capacità dell’uomo, oggi, di indirizzare l’uso delle nuove tecnologie.
- Siamo sufficientemente alfabetizzati e consapevoli per fare la differenza?
CAPPANNARI: In generale credo che ci sia ancora un po’ di strada da fare, perché vedo una forte dicotomia tra chi è attento a queste nuove dinamiche e tecnologie e chi lo è meno, inoltre, tante persone non sono ancora pronte ad accettarle o a recepirle. Si pensi, per esempio, al caso di Cambridge Analytica, in cui la tecnologia è entrata prepotentemente nelle nostre vite in modo invasivo, mettendo in luce tutti quei problemi che ancora oggi non abbiamo risolto. Il mondo delle teorie del complotto, inoltre, è stato amplificato dai social media e dalle echo-chamber, le quali oggi sono quello che sono semplicemente perché in gran parte mancano gli strumenti per poterle comprendere. Credo, dunque, che ci sia ancora un gap che prima o poi dovrà essere colmato.
Dal primo volo dei fratelli Wright nel 1903 all’atterraggio sulla luna del 1969 sono trascorsi solo 66 anni,
- quanto tempo impiegheremo, secondo lei, data la velocità delle trasformazioni tecnologiche, ad arrivare alla smaterializzazione completa della nostra vita determinata dallo spatial computing?
CAPPANNARI: Non posso predire il futuro, però possiamo dare uno sguardo alla velocità dell’evoluzione tecnologica. Il primo smartphone è uscito nel 2007 e in una decina di anni è diventato un accessorio che fondamentalmente è diventato parte di noi. Gli algoritmi di intelligenza artificiale sono nati molti anni fa, ma sono diventati maturi soltanto negli ultimi anni. Eppure, ci sono già Stati che li utilizzano per controllare la popolazione. I pagamenti elettronici sono di recente introduzione, ma non possiamo più farne a meno. Credo, dunque, che la digitalizzazione sarà una cosa molto più rapida rispetto a quello che è successo con il volo dei fratelli Wright. La rapidità è tale per cui nel giro di cinque anni cambieremo le nostre abitudini. A partire dal 2030 la società comincerà ad interagire con un mondo parzialmente virtuale, il che avrà una serie di implicazioni non banali sia dal punto di vista etico sia rispetto all’opportunità che la gente abbia un’educazione in merito all’utilizzo di tecnologie molto più potenti rispetto al digital tradizionale. In qualche modo le nuove tecnologie rappresentano già un’estensione del nostro corpo. In parte è già così per gli smartphone. Oggi, in parallelo, la realtà viene modificata dalle narrazioni, dalla propaganda e dalle fake news, attraverso i media più tradizionali. Tuttavia, i social network non sono altro che una trasposizione interattiva e intelligente di questi ultimi e quando le fake news diventeranno così credibili da impattare il modo in cui vediamo il mondo, per alcune frange di individui sarà davvero molto complesso gestire il problema.
Oggi si parla sempre di più di guerra dell’attenzione, vince quindi chi riesce ad ingaggiare prima e a trattenere per più tempo l’utente nella propria realtà immersiva,
- come evitiamo quindi che il mondo fisico si trasformi in una distopica vetrina di pubblicità olografiche?
CAPPANNARI: Da una parte il ruolo etico sarà occupato sicuramente dai designer di questi nuovi mondi: non dimentichiamoci che stanno già nascendo associazioni sul metaverso etico come Metavethics, Santa Barbara California, nata da poco (tra l’altro c’è anche un italiano tra i membri). La tecnologia è neutra, dipende da come la usiamo, starà ai designer e alla capacità dello Stato di imparare ad essere più veloce con le regolamentazioni. Il GDPR ha dimostrato che, se vogliamo, queste nuove tecnologie possono essere imbrigliate. Il problema è che da una parte la potenza delle lobby non lo permette, dall’altra, dal mio punto di vista, è e sarà sempre più necessaria la presenza dello Stato all’interno del design di queste nuove tecnologie, perché alla fine i paletti devono essere definiti da un Ente super partes, non potendo sperare che siano le aziende private a definire tali aspetti. L’intero sistema deve cambiare e dobbiamo avere esperti al governo che possano capire, interpretare e agire con un certo tempismo.
Il cloud secondo il professor Andrea Monti è la cessione delle informazioni (di produzione per l’azienda, personali dell’essere umano) all’hosting, alimenta la ricchezza dei big data in possesso delle multinazionali for profit
- come, vista anche la Mega Meta Multa per i dati UE processati negli States, si concilia l’efficienza, velocità, minore latenza del cloud e della quinta generazione del 5 G con la sicurezza e la tutela dei diritti della persona?
CAPPANNARI: Non sono un esperto di cybersecurity, ma quello che vedo soprattutto con le nuove forme di Cloud è che il computing si sta spostando da un Cloud centralizzato al Cloud in Edge, quindi sta tornando ad essere più vicino all’utente sia lo storaggio che la capacità computazionale. Non credo che potremmo fare a meno del Cloud e quindi sicuramente andrà regolamentato. Ci potrebbe essere anche l‘ipotesi di Enti non privati che possano gestire e regolamentare questi data center perché oggi è una cosa comunque assolutamente fattibile. L’evoluzione dell’Edge Computing permetterà di restituire il possesso di alcune tecnologie e informazioni anche a chi si trova all’ultimo miglio. Non cambierà la sostanza, sempre più dati della nostra esistenza verranno messi a disposizione di qualcuno che potrà gestirli, bene o male, e lì sarà da capire come regolamentare questa questione. La centralizzazione di questi dati può produrre, d’altra parte, dei potenziali rischi di sicurezza. Dal momento che non ci sono sistemi informatici veramente sicuri, gli hacker entreranno ovunque, quindi una maggior tutela dei nostri dati potrebbe venire dall’adozione di standard leggermente diversi da quelli del Cloud tradizionale. Mi riferisco agli standard di decentralizzazione, quindi a tutto il mondo della blockchain, tecnologia in fase evolutiva che tuttavia non è ancora matura per gestire una quantità di dati di queste dimensioni. Se vogliamo poi parlare di Metaverso, non esiste ancora nella visione tecnologica di unico internet, perché se pensiamo alle caratteristiche di persistenza, queste richiedono una quantità di dati e capacità computazionale non disponibile con le tecnologie attuali. La blockchain, a sua volta, è una tecnologia ancora meno matura, che però promette, attraverso la decentralizzazione, di darci l’ownership dei dati e di poter utilizzare i nostri computer, con la capacità computazionale diffusa a vantaggio della gestione di un unico grande mondo virtuale. Edge computing e decentralizzazione potrebbero, dunque, essere una tendenza interessante che si contrappone a quella della centralizzazione del Cloud.
- Interoperabilità e consumo energetico sono le principali criticità per lo sviluppo della blockchain e del Metaverso?
CAPPANNARI: Rispetto al consumo energetico ci sono tecnologie moderne (il nuovo Ethereum va nella direzione giusta), in realtà, però, non è una questione di tecnologie, ma di standard e di business. Non è detto, infatti, che si raggiungerà mai l’interoperabilità, perché tutti gli attori coinvolti devono essere d’accordo sugli standard, cioè nel fare in modo che se io compro un oggetto nel mio ecosistema, anche tu poi lo possa utilizzare senza dover riconoscere delle fee ad altri. Se vogliamo parlare di Metaverso, dobbiamo tenere presente che attualmente si tratta di un numero limitato di utenti (non siamo sicuramente nell’ordine di 8 miliardi di persone tutte insieme nello stesso mondo). Il Metaverso oggi è un gioco, domani sarà una co-presenza con il mondo fisico tra persone che magari interagiscono tramite avatar da remoto.
Tutti si pongono il problema di selezionare l’informazione, perché l’esperienza immersiva e pervasiva della realtà virtuale garantisca all’utente di ricevere le informazioni di cui ha bisogno e non troppe informazioni. È necessario, però perché si arrivi a questo, studiare la personalità e quindi tracciare tutte le abitudini, un altro esempio di quanto le persone siano pronte ad esporre la propria vita privata o ad accettare sostanziali limitazioni al godimento dei propri diritti, per una rapida soddisfazione emotiva o per il raggiungimento più rapido di un obiettivo, attraverso il click sullo smartphone,
- Semplicità uguale facilità e quindi anche superficialità?
CAPPANNARI: In questo momento tutte le nostre abitudini sono già parte di un mondo digitale. Ad esempio, quando sono stati lanciati i Google Glass sono stati un fallimento perché dicevano che la tematica della privacy era dirimente nell’evoluzione della tecnologia. Sono passati dieci anni scarsi, oggi la tematica della privacy cioè il timore di essere ripresi in pubblico non è più un problema. Gli stessi occhiali di Meta hanno una lucina rossa che si accende che permette di registrare quello che guardi, perché ormai la gente si è abituata ad essere ripresa o a riprendersi con il telefono. Gran parte dei nostri dati, inclusi quelli più personali, saranno costantemente condivisi anche nel Metaverso. Credo che ci arriveremo per gradi, così come è stato negli ultimi dieci anni. Oggi riteniamo ciò impossibile, come registrare tutti i nostri dati della salute o delle nostre abitudini sul Cloud, a breve sarà possibile, perché ci saremo abituati a cedere pian piano la nostra privacy e la nostra vita privata al digitale. Arriveremo ad un punto in cui il nostro concetto stesso di privacy cambierà drasticamente.
Molti sostengono che chi controlla le piattaforme decide chi è chi e per quanto tempo, esiste la possibilità di attribuire ed eliminare l’identità, non solo di riconoscerla e questo è un rischio,
- ritiene necessario e possibile che l’Italia/Europa si doti di un’industria elettronica per la produzione di server e la realizzazione di piattaforme alternative alle Big Tech americane e cinesi?
CAPPANNARI: Auspicabile, ma non credo ci riusciremo mai. Sicuramente abbiamo le competenze, ma non abbiamo quell’unità e visione coesa necessaria a contrastare gli agglomerati tecnologici e finanziari, come quello cinese e americano.
- AnotheReality dov’è in America, in Italia?
CAPPANNARI: AnotheReality è in Italia, ma stiamo pensando di spostarci anche all’estero. A livello europeo non c’è una coesione politica tale da garantire una vera visione comune. Inoltre, la tecnologia si è sempre evoluta fin dalla nascita dei chip e dei semiconduttori tra la Silicon Valley e la Cina, due poli competitivi difficilmente raggiungibili, data l’attuale frammentazione politica in Europa.
- Nei futuri possibili, La nuova estetica dell’uomo e dell’ambiente che lo circonda sarà come un fotogramma di Ready player one?
CAPPANNARI: No, non credo. Nel futuro il gusto e la creatività del mondo reale entreranno anche nel mondo digitale, quindi vedremo tantissimi livelli diversi, così come oggi l’industria creativa presenta molteplici tonalità e mood, approcci che vanno dall’iperrealismo, ai caartons e al gaming tipo Ready player one. Le tecnologie raggiungeranno sicuramente un livello di evoluzione tale da rendere indistinguibile il vero dal finto, e questo già a breve. Dai laboratori di Meta alcune cose si sono già viste, quindi non credo che il nostro futuro sarà un grande videogame. Penso però che questa componente entrerà all’interno di un’estetica più diffusa e questo sta già avvenendo. Oggi metà della popolazione mondiale è gamer (più di 3 miliardi di persone) e l’estetica del gaming ormai è universalmente accettata e lo sarà sempre di più in futuro, anche se non occuperà una posizione predominante.
Cappannari con la sua realtà imprenditoriale AnotheReality proietta le aziende e le amministrazioni locali nei futuri possibili dei gemelli digitali e della Realtà integrata Aumentata.
Lo ringraziamo per il suo impegno, le capacità e la tenacia, la sua azienda valorizza il nostro paese aiutandolo a riemergere dalla preistoria del futuro, rendendolo maggiormente competitivo.
© R. Bonani